venerdì 28 gennaio 2011

Santi che vorrei/3

Uomini semplici e folli.
Folli perché innamorati della vita e del suo Vivente Creatore e Signore.
Semplici come Dio e le sue creature.






Oggi che la Chiesa fa gioiosa memoria di san Tommaso d'Aquino, dai suoi compagni di studio soprannominato il bue muto il cui muggito solcò i secoli per l'armonia con cui coniugò la fede dei semplici con il grande ingegno intellettivo, voglio proporre per la gloria degli altari il suo degno erede: Gilbert Keith Chesterton.


G.K. Chesterton fu erede di san Tommaso d'Aquino sia per le notevoli dimensioni esteriori del suo corpo, sia per quelle molto più vaste ed interiori dell'anima. La loro mole corporea, infatti, ospitò e servì con grande fatica l'enorme creatività delle loro anime, anzi forse proprio in previsione di ciò furono forniti dal Creatore di un corpo così grande.
Erede anche in spirito col quale penetrò a tal punto il segreto e la forma di san Tommaso che scrisse una tra le migliori introduzioni e sintesi del suo pensiero secondo Etienne Gilson. Complimento non da poco, se consideriamo le nazionalità di chi lo fece e di chi lo ricevette ed il fatto che l'uno era uno specialista, mentre l'altro un semplice giornalista.





Ma il capolavoro assoluto della sua sterminata produzione gutenberghiana è senza ombra di dubbio Ortodossia,vera e propria apologia del senso comune e del bel ragionamento:
Taluni hanno preso la stupida abitudine di parlare dell'ortodossia come di qualche cosa di pesante, di monotono e di sicuro. Non c'è invece, niente di così pericoloso e di così eccitante come l'ortodossia: l'ortodossia è la saggezza, e l'esser saggi è più drammatico che l'esser pazzi; è l'equilibrio di un uomo dietro cavalli che corrono a precipizio, che pare si chini da una parte, si spenzoli da quell'altra, e pure, in ogni atteggiamento, conserva la grazia della statuaria e la precisione dell'aritmetica.
E ancora:
Pazzo non è chi ha perso la ragione, ma chi ha perso tutto fuorché la ragione.

giovedì 27 gennaio 2011

Santi che vorrei/2


Domenico di Michelino, 1465, Firenze Duomo


"Nella illustre schiera dei grandi personaggi, che con la loro fama e la loro gloria hanno onorato il cattolicesimo in tanti settori ma specialmente nelle lettere e nelle belle arti, lasciando immortali frutti del loro ingegno e rendendosi altamente benemeriti della civiltà e della Chiesa, occupa un posto assolutamente particolare Dante Alighieri..."
Con queste parole encomiastiche ha inizio l'enciclica In Praeclara Summorum che Benedetto XV ha dedicato a Dante Alighieri in occasione del sesto centenario della sua morte (1321-1921). Fortuitamente e con mia grande sorpresa ho scoperto questa enciclica minore e ignota ai più, ma che mi permette di formulare il desiderio di vedere l'Alighieri ascendere alla gloria migliore e incorruttibile degli altari con sconsiderata incoscienza.
Non conto infatti sulle mie misere e sgraziate parole, povere di splendore e di verità che adornano invece le parole dantesche, ma mi affido alla magggior sapienza di un Giacomo della Chiesa, in arte papa Benedetto XV, il quale ritenne che il genio universale e padre della lingua del sì, meritasse l'onore di esser fatto oggetto di una intera Lettera Enciclica del Vicario di Cristo, solo perché la sua arte mostra lo splendore della fede cristiana.

Sandro Botticelli, 1480-95, Beatrice e Dante

Reputo, infatti, che sia indispensabile l'incoscienza per proporre oggi nell'anno del Signore 2011, di beatificare l'Alighieri. Ma voglio dar voce al misterioso sentimento di stupore e gioia che mi assale ogni qualvolta leggo Dante, oppure lo ascolto, o anche ne sento solo parlare.

Hans Urs von Balthasar, di cui ho scritto nel post precedente, nel secondo volume di Gloria, sceglie dodici figure eminenti che mostrino un caleidoscopio della bellezza del cristianesimo: Ireneo, Agostino, Dionigi, Anselmo, Bonaventura, Dante, Giovanni della Croce, Pascal, Hamann, Solov’ëv, Hopkins, Peguy sono convocati attraverso i secoli dal Balthasar in un cenacolo quali testimoni che la Gloria rifulgente sul volto di Cristo non spegne ma esalta l'irriducibile differenza dello stile di ciascuno. E fra questi magnifici dodici campioni, proprio Dante è stato convocato, preferito al sommo maestro della scolastica, Tommaso. Ma perché con Dante, Balthasar ne convoca almeno cento altri, da Virgilio a Catone, da Tommaso a Bernardo, fino all'anima amata di Beatrice, grazie al cui volto potrà contemplare Dio.

Giovanni di Paolo, 1450 ca.


Che dire ancora, mi limito a ricordare che la stessa Liturgia cattolico-romana ha adottato le prime sette terzine del Canto XXXIII del Paradiso Vergine madre, figlia del tuo figlio quale inno per l'Ufficio delle Letture della solennità dell'Assunta.


lunedì 24 gennaio 2011

Santi che vorrei/1

Ci sono delle persone semplici che tanto hanno amato il Signore,
da risplendere come astri per noi, modelli veri di vita cristiana,
forme concrete dell'anthropos teleios che è Gesù Cristo,
alla cui perfezione-integrità-compiutezza si abbeverarono
donando ai posteri per sovrabbondanza.

Adrienne von Speyr e Hans Urs von Balthasar.
Il Balthasar è senza dubbio il più grande teologo cattolico del novecento e la Speyr, mistica straordinaria, è la sua "musa ispiratrice".


Adrienne nacque protestante, divenne medico e grazie all'incontro con l'allora gesuita Balthasar, si convertì al cattolicesimo, ricevendo il battesimo nella solennità di Ognissanti del 1940. Da allora la Speyr fu letteralmente invasa da grazie mistiche, di cui lei non era la destinataria unica, ma un semplice canale di trasmissione per la chiesa e per il mondo. Ciò fu reso possibile dalla presenza accanto a lei del Balthasar. Il rapporto Speyr-Balthasar fu molto più che il rapporto tra un'anima cristiana ed il suo direttore spirituale, fu questo e molto più. I doni mistici ricevuti dalla Speyr, una vera e propria pentecoste personale, ebbero il loro centro nella sua partecipazione annuale alla passione, crocefissione, discesa agli inferi e resurrezione di Gesù Cristo. Tale concentrazione della sua esperienza mistica sul dato oggettivo del mistero cristiano, plasmò interiormente la teologia del Balthasar.


I Padri della Chiesa insegnano che "chi prega è teologo". Il Balthasar pensò una teologia orante, non fatta a tavolino ma in ginocchio; non tanto riducendo la preghiera ad un oggetto specifico della riflessione teologica, come fa la teologia spirituale, ma creando una vera e propria Cattedrale del pensiero cristiano che fosse "luogo di Dio" (Gen 28,16); ciò fece risplendere dall'interno, per inabitazione dello Spirito Santo, la Summa da lui scritta in forma di Trilogia: Gloria, Teodrammatica, Teologica.
Egli fu capace di parlare di Dio all'uomo contemporaneo (teologo),
perchè parla a Dio da uomo concreto (orante),
ed il suo parlare a Dio sgorga dall'ascoltare il Dio che si rivela all'uomo in Gesù Cristo (credente).


Chi lo desidera può scrivere al vescovo di Basilea, luogo in cui Adrienne von Speyr e Hans Urs von Balthasar sono morti, per chiedere e sostenere l'apertura del processo canonico di beatificazione. L'indirizzo è il seguente:
Bischöfliches Ordinariat
Baselstrasse 58
4501 Solothurn
Casella postale 216
mentre la email è: generalvikariat@bistum-basel.ch

lunedì 17 gennaio 2011

Clero sposato

I fatti sono noti.
  1. Roma, sabato 15 gennaio 2011, la Congregazione per la Dottrina della fede erige l'Ordinariato personale di Nostra Signora di Walsingham, in conformità con le disposizioni della costituzione apostolica Anglicanorum coetibus di Benedetto XVI, del 4 novembre 2009.
  2. Cattedrale di Westminster, sabato 15 gennaio 2011, l'arcivescovo Vincent Nichols ordina come sacerdoti cattolici i reverendi Keith Newton, Andrew Burnham e John Broadhurst, vescovi anglicani sposati.
  3. Roma, sabato 15 gennaio 2011, Benedetto XVI nomina primo Ordinario il Reverendo Keith Newton.


Probabilmente altri chierici anglicani sposati entreranno nella piena e visibile comunione della Chiesa Cattolica, attraverso la figura canonica degli Ordinariati personali e molti di questi uomini sposati saranno ordinati sacerdoti cattolici, una novità nella Chiesa Cattolica. Novità che si è cercato di contenere dentro il perimetro degli Ordinariati personali.

Ma il clero sposato non è una novità assoluta, anzi, da anni o da secoli è presente nella Chiesa Cattolica.
Da secoli è presente il clero sposato delle Chiese Cattoliche Orientali.
Da decenni è di nuovo presente il clero sposato anche nelle Chiese del Rito Romano, dal Concilio Vaticano II che ha ripristinato il Diaconato al quale possono essere ammessi uomini sia celibi che sposati.
Forse la presenza massiccia di un clero sposato, non tanto in termini quantitativi ma soprattutto qualitativi, presenza qualitativamente massiccia del clero sposato, favorirà la revisione della legge ecclesiatica che impedisce agli uomini sposati l'ammissione al sacerdozio.

Il motivo più che sufficiente per ammettere al sacerdozio uomini sposati è la Parola di Dio. Da un lato essa propone l'esempio autorevole di Pietro, apostolo sposato, dato che i sinottici riferiscono che Gesù guarì la suocera di Simone (cfr. Mt 8,14; Mc 1,30; Lc 4,38); dall'altro dà la norma che Paolo, apostolo celibe, trasmette a Timoteo sulla scelta dei ministri da ordinare: "Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola donna, (...) Sappia guidare bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi e rispettosi" (1Tim 3,2.4).

Il superamento di questa norma umana del celibato, non sminuirebbe il grande dono del celibato. Anzi permetterebbe di recuperare e di valorizzare la sua natura puramente gratuita, come è indicato dalle sobrie e chiare parole di nostro Signore: "Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Infatti vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca" (Mt 19,11-12). Natura puramente gratuita del celibato per il regno confermata dalle parole con cui ne parla l'apostolo Paolo: "Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno riceve da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro" (1Cor 7,7).

lunedì 10 gennaio 2011

Riflessioni ermeneutiche sul Concilio Vaticano II

Opportunità del Concilio?
Il Concilio Vaticano II è stato senza dubbio opportuno per i seguenti motivi, tra loro intimamente connessi:
1.      Completare il lavoro iniziato dal Concilio Vaticano I. Infatti, il 18 luglio 1870 esso venne aggiornato per l’imminente inizio della guerra franco-prussiana che ebbe inizio il giorno successivo; poi, alla presa di Porta Pia (20 settembre 1870), fu sospeso sine die. Cosicché la Pastor aeternus  si limitò a trattare del primato petrino e del magistero infallibile del Romano Pontefice. Il suo titolo ufficiale: “Prima costituzione dogmatica sulla chiesa di Cristo” con l’attribuzione dell’aggettivo ordinale “prima” alla costituzione, afferma esplicitamente che il Concilio era intenzionato ad emanare come minimo un’altra costituzione sullo stesso tema; implicitamente se ne deduce che l’insegnamento dogmatico sancito dalla Pastor aeternus è incompleto. Esso sarà progressivamente integrato dal magistero sia pontificio con l’enciclica Mystici Corporis di Pio XII, sia conciliare con la Costituzione sulla Chiesa Lumen Gentium.
2.      Per completare l’opera del Vaticano I andavano riconosciuti, valutati ed assunti i diversi fermenti di rinnovamento che animavano la teologia e la vita della Chiesa. Con la Costituzione apostolica Provida Mater Ecclesia di Pio XII (1947) era stata riconosciuta la possibilità della consacrazione a Dio pur restando nel mondo, forma di vita degli Istituti secolari. Sempre su iniziativa di Pio XII, con l’enciclica Fidei Donum (1957) era iniziata la condivisione del clero tra Chiese diocesane. Inoltre i movimenti biblico, liturgico e patristico propugnavano un ritorno alle fonti per il rinnovamento della vita della Chiesa a favore del mondo contemporaneo, come era visibile dalla primavera missionaria. Infine la Chiesa Cattolica doveva prendere posizione sul neonato movimento ecumenico (1910 conferenza di Edimburgo, 1948 nascita della CEC alla conferenza di Amsterdam).
A proposito dell’opportunità o meno di un Concilio, i romani pontefici san Pio X e il venerabile Pio XII avevano preso in considerazione la possibile convocazione di un Concilio, reputandolo anch'essi opportuno.

Ecclesia semper reformanda
C’era, c’è ancora e sempre ci sarà bisogno di rinnovamento o riforma della Chiesa. Il beato Giovanni XXIII ne parlò usando il termine alquanto riduttivo di “aggiornamento”, una formulazione sicuramente riduttiva della perenne necessità di conversione al Signore.
Fino alla fine del mondo siamo sotto il giudizio di Dio, quando, imitando i progenitori, vogliamo sottrarci al giudizio divino rendiamo definitivo il nostro status di peccatori, confermando l’idolatria insita in ogni peccato con l’orgoglio di sfuggire al giusto Giudice.
Rimanere sotto il giudizio di Dio significa vivere la perenne chiamata alla conversione: solo Dio è eterno ed immutabile e solo chi fa la sua volontà rimane in eterno, tutto il resto è transitorio e merita di durare finché serve a condurci a Dio.
Questo criterio di giudizio vale sia per il mondo che per la Chiesa; per tutte le riforme e le scelte di ieri, oggi e domani. Criterio che condanna senza appello la notevole burocratizzazione della Chiesa, frutto del clericalismo imperante oggi, sia nella chiesa che nella società.

La pastorale, ovvero il buco nero della Chiesa contemporanea
Cos’è la pastorale?
Etimologicamente deriva dal sostantivo pastore, nome biblico per indicare Dio che custodisce, veglia e guida il suo popolo e per chiamare quegli uomini che Egli sceglie per continuare lungo la storia il suo custodire, vegliare e guidare il popolo di Dio: profeti, giudici, re e sacerdoti, e in Gesù suo Figlio, Agnello di Dio e buon Pastore, apostoli, profeti, vescovi, presbiteri e diaconi. La pastorale è quindi l’arte di guidare, vegliare e custodire il gregge, arte che riguarda esclusivamente i Ministri ordinati, la Gerarchia della Chiesa.
Allora, di grazia, perché oggigiorno quasi tutto nella Chiesa ha assunto la qualifica di pastorale? Consigli pastorali a tutti i livelli (parrocchiale, zonale, diocesano, nazionale), corsi di formazione per operatori pastorali. Se quasi tutto è pastorale significa che quasi tutto è clericale, cosa che di fatto è vera con il clericalismo che affligge molti laici impegnati e che si riflette anche nel suo contrario, la laicizzazione di parte del clero. Certamente questa confusione dei ruoli è anche conseguenza della più generale liquidità della società contemporanea, caratterizzata dalla non differenziazione tra l’uomo e la donna, colpita dalla indifferenza che secondo la beata Teresa di Calcutta è la malattia spirituale odierna.
Il pastoralismo è il segno della clericalizzazione della Chiesa, della sua riduzione a mero organismo burocratico. Se poi si considera tale involuzione burocratica di fatto della compagine ecclesiale nonostante la riscoperta dell’ecclesiologia di Comunione, non fa che confermare la diagnosi formulata decenni orsono dal Balthasar sulla deleteria scissione tra il pensare (teologia) e l’essere (mistica), da cui consegue la separazione tra dogmatica e morale.
Quindi il pastoralismo non è una malattia recente della Chiesa, non è dovuto al Vaticano II, ma ha radici che affondano nei secoli e che si manifestano lungo la storia della Chiesa. Già il beato Antonio Rosmini nell’opera Delle cinque piaghe della santa Chiesa (1848), aveva indicato quali malattie affliggevano la santa Chiesa e quali rimedi per curarla. Venendo ai giorni nostri la degenerazione del pastoralismo che colpisce la Chiesa è evidente già con il beato Giovanni XXIII che convocò il Concilio con l’intenzione di attuare un deprecabile perché mero “aggiornamento pastorale” della Chiesa. A mio avviso è proprio l’indole pastorale del Vaticano II il limite da lasciar cadere perché ne emerga il dato dogmatico, o meglio, l’indole misterica o storico-salvifica.
Come ha indicato e fatto il padre Balthasar, bisogna superare la separazione tra la teologia e la mistica, cui seguì la scissione tra dogmatica e morale. Va recuperata l’integrità propria della predicazione apostolica tra l’annuncio del kerygma, la spiegazione del dato dogmatico e l’esortazione morale o parenesi, il tutto plasmato dall’humus orante.
Do un giudizio negativo a tutto ciò cui viene attribuito l’attributo di pastorale, ivi compreso il carattere pastorale del Concilio vaticano II. Esso è un Concilio Ecumenico della Chiesa Cattolica, né migliore né peggiore degli altri, uno dei tanti. Non è l’evento del XX secolo. Per i cristiani l’Evento è uno solo: Gesù Cristo, ieri, oggi, sempre.
L’evento storico del XX secolo è l’omicidio sistematico alimentato dall’odio e dal disprezzo per la vita umana. Esso è stato realizzato in vari modi: genocidi Armeni, Greci ed Assiro-Caldei ad opera degli ottomani (1915-23), stragi e carestie ad opera dei regimi comunisti in Russia (anni ‘30), Ucraina (1932-33), Cina (1956-61), Cambogia (1975-79), i genocidi di Ebrei, Zingari e Slavi ad opera del regime nazista (1938-45), i genocidi Hutu e Tutsi nella regione dei grandi laghi (1972, 1994), la strage dei bambini non nati con il ritorno dell’aborto e l’eutanasia con cui si eliminano ammalati, disabili, anziani. L’odio per la vita e la persona umana è stato giustificato e promosso da diverse correnti di pensiero: nazionalismo, materialismo ateo comunista , paganesimo panteista nazista, scientismo biologi sta, e realizzato su scala industriale con gli ausili della moderna Tecnica, vero e proprio idolo d’oggi. Si realizza così l’incubo narrato da Aldous Huxley ne Il nuovo mondo.
Da questo punto di vista l’unica Costituzione del Vaticano II formalmente qualificata come pastorale, la Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo, più conosciuta come Gaudium et Spes, va liberata dai limiti pastorali per recuperarne la schietta ed importantissima dimensione dottrinale immutabile. Essa si situa dentro il solco della Dottrina sociale della Chiesa inaugurata dalla Rerum Novarum di Leone XIII e ampiamente sviluppata dai pontefici nel XX secolo ed in particolare da Paolo VI con Humanae Vitae e da Karol il grande nel suo vasto magistero sulla dignità della persona umana dal concepimento alla morte naturale.

Logorrea
È una delle malattie spirituali che affligge la Chiesa, patologia che l’affligge da anni, già con il pontificato di Pio XII e dalla quale non è esente nemmeno il Concilio Vaticano II, con i troppi documenti emanati, troppo lunghi che diedero il la al diluvio di parole che dopo il Concilio il Magistero ecclesiale ha inondato la Chiesa ed il mondo, per altro sempre meno attenti ad ascoltarle.
L’allora card. Ratzinger aveva posto la questione dei troppi documenti ufficiali prodotti dalla Chiesa, ma senza approfondire la questione. Per fortuna il Popolo di Dio non vive dei documenti prodotti dalla burocrazia ecclesiale, composti per lo più con un linguaggio proprio da iniziati, il cosiddetto ecclesia lese. Speriamo li ignorino per potersi dedicare all’ascolto della Parola di Vita che è Gesù Cristo.
Le troppe parole umane proprie della logorrea, oltre che segno tipico di alcune malattie mentali, è anche malattia dello spirito dovuta all’incapacità di tacere e alla mancanza di discernimento tra:
a.       le cose che devono essere dette
b.      le cose che possono esser dette
c.       le cose che devono esser taciute
Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8) Con questa domanda Gesù conclude la parabola del giudice e della vedova che ha per oggetto esplicito: “la necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai” (Lc 18,1). La fede è viva finché il credente prega, dato che il dialogo tra Dio e l’uomo iniziato da Dio rivolgendo all’uomo la sua Parola, prosegue solo se l’uomo risponde a Dio, rivolgendosi a Lui nella preghiera. La preghiera è tutta qui: ri-volgersi a Dio.
La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo” (Rom 10,17). L’apostolo Paolo ha evidenziato la necessità di annunciatori del Vangelo, fedeli alla tradizione ricevuta (1Cor 15,3), ma va altresì evidenziato il versante complementare della necessità di tacere per ascoltare la Parola annunciata. Il Silenzio non si limita al dato fisico ed esteriore, necessaria e benefica assenza di rumori, suoni , musica e parole. A questo primo livello di silenzio deve seguire il silenzio del cuore e della mente.

La crisi della Chiesa
La crisi della chiesa non può esser dovuta ad una sola causa (lo spirito del Concilio). Questa è una diagnosi semplicistica che si riposa comodamente nel gettare tutte le colpe su di un fantomatico spirito del Concilio. La Chiesa è fino alla fine del mondo in crisi perché sotto il giudizio di Dio. La crisi non è una maledizione da fuggire, ma una benedizione di Dio da far fruttare.
Lo spirito del Concilio è una definizione equivoca da precisare. Intesa come intenzione di una lobby, va esclusa come partigiana e non cattolica. Lo spirito conciliare non è antitetico alla lettera dei documenti conciliari, come lo Spirito di Dio non è in antitesi con la sacra Scrittura da esso ispirata. La lettera è la prima espressione formale e formata dello spirito, senza la quale lo Spirito sarebbe solo vento, uragano di bufera che spazza la superficie caotica ed informe dell’abisso liquido delle origini (Gen 1,2).
Il testo fa testo, il testo discusso, emendato, approvato e promulgato. Il Concilio Vaticano II come tutti i precedenti, come la Chiesa di cui è espressione, non è il sovrano dello Spirito Santo, viceversa è vero il contrario, che la Chiesa è dominata dallo Spirito di Dio, alla cui autorità si appellano i Concili da quello di Gerusalemme in poi: “lo Spirito Santo e noi …” (At 15,28).
Io trovo che una delle possibili cause, non l’unica e forse nemmeno la principale, della presente crisi della Chiesa è il rifiuto pregiudiziale di condannare l’errore/gli errori. Tale rifiuto ha lasciato entrare nella chiesa, per sua natura infallibile nel credere e conoscere la Verità salvifica, l'errore del relativismo.
Errore subdolo e doppiamente falso, perché si nasconde dietro una maschera di correttezza, di equità, di apertura e di misericordia verso gli erranti. Ma una cosa è accogliere chi sbaglia, altro è accogliere e quasi santificare lo sbaglio! Il male va sempre condannato, odiato e rifiutato. All’errore va sempre detto un no forte e chiaro. Il fatto che Dio riesca a scrivere diritto sulle nostre righe storte e a trarre del bene anche attraverso le nostre cattive azioni, non significa che il male equivale al bene, oppure che il falso è relativo al vero.
Nella Chiesa il relativismo, oltre che di sentimenti untuosi di amore falso, s’esprime con il linguaggio oscuro ed allusivo, così generico e vago da esser capace di affermare e negare lo stesso principio, sontuosamente annegando dentro ipotetiche e secondarie. Oppure si omette di dire a chiare lettere ciò che il mondo non vuole sentirsi dire. Il mondo pagano e scristianizzato che sta contro la Chiesa ed il mondo che abita dentro il cuore dei credenti.

venerdì 7 gennaio 2011

Perché l'armonia tra le letture della messa è utile e necessaria

Querculanus nel post http://querculanus.blogspot.com/2011/01/ancora-su-parola-di-dio-e-liturgia.html
ha criticato il mio appello per la revisione dei criteri dell'OLM (il Lezionario). Da un lato concorda con me ammettendo che: "non sempre c'è armonia tra le letture", e dall'altro si chiede retoricamente: "ma perché dovrebbe esserci?".

Ecco, voglio dare la mia risposta , ovvero perché è utile e necessario vi sia armonia tra le letture della messa.

Involontariamente Querculanus stesso espone il primo motivo citando l'esortazione apostolica post sinodale Verbum Domini che al n° 57 più volte parla dell'unità del piano divino in Cristo o unità intrinseca di tutta la Bibbia.
Deve esserci armonia tra le letture bibliche della santa Messa perché esse sono la dichiarazione ufficiale da parte di Dio al suo popolo, radunato per celebrare le opere di Dio, che il suo piano di salvezza, dalla creazione di Adamo fino al presente, è giunto a compimento in Cristo. Ovvero che la fede della Chiesa, tutta la fede di tutta la Chiesa, è "secondo le Scritture", come ha spiegato Gesù risorto ai due discepoli di Emmaus nella prima omelia cristiana (Lc 24,27), come fece l'apostolo san Pietro nel primo discorso dopo la Pentecoste, illustrando a Israele i fatti appena avvenuti alla luce delle promesse fatte ai padri (At 2,14s), come certifica l'apostolo san Paolo (1Cor 15,3-4) ed infine come confessiamo nel Credo.
Viceversa dovremmo affidare alla sorte la scelta delle letture, lotteria biblica che talvolta è ancora praticata da alcuni cristiani (sic!), ma non è mai stata fatta propria dalla Chiesa.


Il secondo motivo per cui è utile e necessaria l'armonia tra le letture consiste nel semplice fatto che l'armonia è richiesta dalla ragione umana.
La disarmonia tra le letture non è un servizio reso alla loro comprensione, fine che Dio ha fin dalla prima volta che rivolse la sua Parola all'uomo. Parola che non è illogica, nè irrazionale, ma è Logos "utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia" (2Tim 3,16). Come san Paolo obbiettò ai Corinzi: "supponiamo che io venga da voi parlando con il dono delle lingue. In che cosa potrei esservi utile, se non vi comunicassi una rivelazione o una conoscenza o una profezia o un insegnamento?" (1Cor 14,6).

Ritornerei ora alle parole con cui Querculanus cerca di giustificare la non necessità che l'omileta (sacerdote e diacono): "metta sempre d'accordo tutte e tre le letture che sono state annunciate".

  1. Non è necessario che l'omileta metta d'accordo letture eterogenee, come capita quaranta domeniche su cinquantadue, poichè non spetta all'omileta mettere ordine forzatamente dove altri hanno messo brani biblici eterogenei.
  2. Ma sarebbe compito dell'omileta mostrare attraverso l'omelia l'unità delle tre letture proclamate, non solo l'unità della Scrittura ma propriamente l'unità con il mistero che subito dopo l'omelia è celebrato: la morte, secondo le scritture, e la resurrezione, sempre secondo le scritture di Gesù Cristo.

Scopo dell'omelia è appunto questo: raccontare da Mosé, dai Profeti e dai Salmi ciò che in essi si riferisce al Cristo. Solo in questo modo si pone nelle menti e nelle anime dei fedeli ciò che il sacrificio eucaristico e la comunione eucaristica porra nei loro cuori e nei loro corpi: la carne immolata del Verbo incarnato, carne vivente perché risorta e perciò vivificante.
Scopo dell'omelia è di mostrare l'unità profonda, intrinseca tra le due mense: la mensa della Parola di Dio appena imbandita e la mensa del Corpo e Sangue del Signore che sta per essere servita, affinchè l'Eucaristia sia totale, completa, integrale, coinvolga ed assuma nel suo duplice movimento discendente/ascendente o diastolico/sistolico tutta la storia della salvezza, tutto il cosmo, tutto l'uomo e tutta la Chiesa.

giovedì 6 gennaio 2011

di luce in luce

Oggi la stella guida i Magi, venuti da Oriente, al Sole di giustizia.
Giorno di luce, di stelle che brillano in cielo ed in terra.
Oggi nella santa Epifania del Signore inizio il mio blog, felice coincidenza.

Innanzitutto una spiegazione del nome.
Sono parole che Dante pone sulla bocca di san Tommaso d'Aquino:

"Or se tu l'occhio de la mente trani
di luce in luce dietro a le mie lode,
già de l'ottava con sete rimani."
(Paradiso X, 121-123)

"Di luce in luce" è una splendida sintesi del cammino dell'homo viator che cerca la  luce perché è nelle tenebre. Come Giovanni l'Evangelista scrive dell'altro e più antico Giovanni, il Precursore:"Non era lui la luce, ma venne come testimione della luce" (Gv 1,8). Paradosso e mistero del testimone: non essere luce ma rifletterla quale terso specchio, come l'acqua cristallina dei laghi alpini riflettono lo splendore del creato che li circonda. Questa è anche la natura della mente: riflettere sulla realtà per riflettere la luce della verità.
Così è di ogni uomo, anzi di ogni creatura visibile ed invisibile. Non siamo luce ma vi aneliamo, come abisso tenebroso che grida all'Abisso increato e generato, la Luce del Verbo che oggi splende e le tenebre del mondo rischiara.

Le stelle sono uno dei simboli danteschi più noti.
Anche Vincent Van Gogh amò dipingere cieli trapuntati di stelle che danzano palpitanti.
Le tre cantiche della Comedia si concludono con la parola stelle, spingendo lo sguardo interiore dei lettori verso il cielo stellato e oltre, verso la Causa incausata, Colui che tutto muove, Motore più che immobile ypermobile:

"E quindi uscimmo a riveder le stelle"
(Inferno XXXIV,144)
Vincent Van Gogh, Esterno del caffè di notte (1888)


"puro e disposto a salire a le stelle"
(Purgatorio XXXIII,144)
Notte stellata sul Rodano, 1888




"l'amor che move il sole e l'altre stelle"
(Paradiso XXXIII,144)

Notte stellata, 1889


Strada con cipresso e stelle, 1890









Infatti, fin dalla notte dei tempi le stelle attirano a sé, in alto, lo sguardo degli uomini perchè il nostro cuore è un abisso abitato dal de-siderium, sguardo anelante rivolto alle stelle...